Obama e Romney, sfida sulle tasse

Esteri

12 aprile 2012
DIVENTERÀ una sfida tra professore e imprenditore. Obama e Romney predicano due filosofie diversissime per un paese che non sa uscire dalla crisi. Più tasse ai ricchi e più lavoro per Barack. Sconti fiscali e meno regole per rilanciare l’economia secondo Mitt. Nessuno dovrebbe avere dubbi a novembre nel segreto dell’urna. In realtà la deregulation selvaggia ha già pesantemente fallito negli otto anni di Bush, ma lo «stimolus» non ha affatto dato il risultato che Obama sperava. In altre parole c’è la caccia a una ricetta nuova e il tempo stringe. Di fronte al grande debito americano, al minaccioso assillo dei creditori cinesi, sia il presidente uscente che lo sfidante repubblicano che ormai non sembra avere più rivali nel partito, avranno un finale in salita alla ricerca del consenso. Nei sondaggi Obama domina col voto femminile, ma Romney è più forte tra i maschi e si gioca la carta del «fatemi provare…io so aggiustare le cose così come ho salvato le olimpiadi invernali…». Barack si affida a Twitter e Facebook, ai discorsi in maniche di camicia, ma con largo anticipo invoca l’aiuto anche delle star del cinema e tra i primi a farsi avanti è arrivato George Clooney che apre la sua casa a Los Angeles a 150 ospiti pronti a pagare più di 40.000 dollari a testa per sedersi a tavola con Michelle e Barack.

LA «MINIMUM TAX» sui ricchi che guadagnano oltre 1 milione di dollari, soprannominata la «Buffet Rule» perché suggerita dal miliardario del Nebraska, è già diventata un cavallo di battaglia «contro il deficit e per l’equità fiscale». Romney la rigetta proponendo tagli drastici a sanità e servizi con fisco ridotto ai «creatori di lavoro». Adesso che Santorum è fuori gara, Gingrich pensa solo a come vendere cari i suoi delegati alla convention di Tampa e Ron Paul si diletta in provocazioni, in attesa del primo dibattito, per i prossimi mesi rischieremo di vedere solo campagne miliardarie a colpi di spot tv e di gaffe? Niente affatto. Non sarà una retorica maratona della noia. Se per Obama è il lavoro che deve a tutti i costi crescere mentre non può permettersi di impantanarsi in Siria o in Iran, per Romney la debole e sospetta fiducia della destra repubblicana va rafforzata con la scelta di un vice presidente «conservatore» e non sarà una decisione facile.
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